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La storia

La storia degli ambienti:

Le foto, ritrovate negli archivi della Scuola Vanvitelli, riportano alla luce frammenti di un passato molto differente dalla situazione attuale, quando il servizio scolastico era ben altra cosa.

Occorreva alfabetizzare la popolazione e le classi di scuola elementare, tutte maschili o femminili, erano stracolme di bambini. Pur essendo molto ampie, le aule erano occupate da banchetti di legno, a due o tre posti, scomodissimi, stretti, senza spazio per muoversi; al centro del piano di appoggio era presente un foro che conteneva il calamaio ed una scanalatura per riporre le penne; il piano si sollevava e si poteva riporre la cartellanera, nera, di cartone pressato.

Anche la cattedra dell’insegnante era in legno, rialzata su una pedana ed, alle spalle, al centro della parete, era appeso un grande Crocifisso. I sussidi didattici erano pochi: un alfabetiere, un pallottoliere, un mappamondo e qualche carta geografica dell’Italia, una grande lavagna d’ardesia e gessetti bianchi.

I quaderni avevano la copertina nera ed il bordo esterno dei fogli era rosso; le pagine erano piene di “mazzarelle” e “tondini” e di decine e decine di “copia e di bella scrittura”. I libri venivano foderati con la carta avio, quella che il salumiere usava per avvolgere la pasta! E poi l’astuccio di legno, i pastelli Giotto, la scatola di sei colori, su cui era stampata l’immagine di un pastorello (Giotto) che, con una fiaschetta al fianco, disegnava su un sasso, con del carbone, una pecorella.

La figura dell’insegnante era autorevole e incisiva nella formazione ed educazione degli alunni ed era sostenuta dal totale consenso delle famiglie: "L'ha detto la maestra!".

Anche la prevenzione e la promozione della salute passava per la scuola e, nella scuola Vanvitelli, i locali del piano terra (attuali refettori) erano adibiti a gabinetto medico. Periodicamente, i bambini venivano visitati e pesati; a scuola si praticavano le vaccinazioni, si controllava lo stato di salute dei denti e si effettuava la radiografia al torace, per controllare l’eventuale insorgere della tubercolosi, malattia, all'epoca, non del tutto debellata.

Ripensando al passato, in tutti resta sicuramente vivo il ricordo della “scuola elementare”, dei compagni, delle uscite didattiche, degli eventi che hanno lasciato una traccia indelebile nella memoria e, soprattutto, è vivo il ricordo del maestro e/o della maestra di cui non si potrà, assolutamente disconoscere l’importanza e il ruolo prezioso svolto nella “crescita” di ognuno di noi.

Ricordiamo...
La classe dei bimbi ebrei della Scuola Vanvitelli al Vomero.

Alberto Bivash è stanco di ricordare.

Alberto è uno dei dieci studenti dell'unica classe speciale per ebrei istituita nel 1939 a Napoli nella scuola elementare “Luigi Vanvitelli” di via Luca Giordano.

La sua voce si fa cupa quando riaffiorano le immagini della sua infanzia. Di parenti e amici scomparsi. «Il nostro ingresso era quello secondario, da via De Mura - racconta - entravamo mezz'ora prima e uscivamo mezz'ora dopo. Non dovevamo mischiarci agli altri.

Avevo 8 anni, nel '40 sono stato confinato con la famiglia nel campo di internamento di San Severino Marche. Lì siamo stati trattati meglio di altri. Mio padre fu deportato ad Auschwitz e non è mai più tornato. I ricordi si fanno sempre più sbiaditi - prosegue Alberto - e ogni tanto penso che sia inutile parlarne troppo. Il razzismo, anche se in forme diverse, non è scomparso, anzi...».

La voce di Alberto si ferma, emerge il senso di colpa per essere rimasto vivo e aver perso invece il cuginetto David Hasson, detto Dino, suo compagno nella classe speciale insieme a Tilde e Elio Benusiglio, Tullio e Dario Foà, Paolo Camerini, Roberto Piperno, Arnaldo Formaggini, Ada Defez e Anita Ghersefeld. David da Napoli fu rispedito con la famiglia a Cipro, loro paese natale, e poi deportati ad Auschwitz dove furono tutti trucidati.

Salvo D’Acquisto

Tra i suoi alunni, la Scuola Vanvitelli ne annovera uno davvero speciale: il vicebrigadiere dei carabinieri, Salvo D’Acquisto (Nato a Napoli il 15 ottobre 1920, in via S. Gennaro al Vomero, e morto a Palidoro il 23 settembre 1943), insignito della Medaglia d’Oro al Valore Militare alla memoria. Assegnato alla caserma di Torre in Pietra (Roma), era in servizio quando, la sera del 22 settembre, un'esplosione uccise due militari tedeschi. Fu organizzato un rastrellamento e furono catturati 22 civili; il mattino successivo, i tedeschi si presentarono alla Stazione dei carabinieri e chiesero la presenza del comandante della Stazione, per dare una parvenza di legalità all’eccidio, che si proponevano di fare. Il maresciallo era assente ed il vice brigadiere D'Acquisto fu costretto a seguire i tedeschi con i loro prigionieri sino a Palidoro. Dopo un sommario interrogatorio, durante il quale ogni prigioniero professò la propria estraneità al fatto, l'ufficiale, che comandava il drappello tedesco, ordinò che a tutti gli ostaggi fosse data una pala perché si scavassero la fossa. Compreso che i tedeschi avrebbero ucciso tutti i prigionieri, il vice brigadiere D’Acquisto, per salvare i 22 cittadini innocenti, si accusò dell’attentato. Salvo D'Acquisto fu fucilato sul posto ed i civili vennero tutti rilasciati.

Il suo gesto eroico riconosciuto con la Medaglia d'Oro al Valore Militare, è stato così motivato: "Esempio luminoso d'altruismo, spinto fino alla suprema rinuncia della vita. Sul luogo stesso del supplizio, dove, per barbara rappresaglia, era stato condotto dalle orde naziste, insieme con 22 ostaggi civili del territorio della sua stazione, pure essi innocenti, non esitava a dichiararsi unico responsabile di un presunto attentato contro le forze armate tedesche. Affrontava così - da solo - impavido la morte, imponendosi al rispetto dei suoi stessi carnefici e scrivendo una nuova pagina indelebile di purissimo eroismo nella storia gloriosa dell'Arma”.

Una statua di bronzo, che lo raffigura bambino, è stata posta nel cortile antistante la Scuola Vanvitelli, ne rammenta la memoria e lo indica, ai giovani, quale esempio di generosità e di amore verso il prossimo.